Constatiamo sovente che i grandi artisti, giunti
a metà dell’esistenza, cominciano a mutare
lentamente posizione nei confronti del mondo
esterno e della loro arte. Se, in gioventù,
l’accordo tra le esigenze del mondo circostante
e quello sull’Io è completo, se, in questo
periodo, la loro arte è “conforme ai tempi” in
quanto espressione della loro personalità, le
cose cambiano negli anni successivi. Insieme con
l’affermazione e il successo sul mondo,
s’insinua l’intimo distacco da esso, e quindi la
presa di coscienza delle più vere e profonde
necessità della propria natura. La via resta
così libera per quanto di più personale e
universalmente valido questi uomini abbiano da
dire. È un fenomeno che possiamo verificare con
Goethe o Rembrandt, con Bach e Beethoven. Da
tutto ciò, discendono un crescente distacco
dall’ambiente, un diventar solitari, un levarsi
sul proprio tempo.
Anche Brahms ha, a suo modo, attraversato un
simile sviluppo. Se nei primi decenni del suo
operare, nei quali pose le fondamenta della sua
gloria, fu in tutto e per tutto “musicista del
presente”, che parlava con il linguaggio del suo
tempo, più tardi si svincolò sempre di più dal
suo immediato presente. Proprio le più mature
opere della vecchiaia, come la Quarta Sinfonia o
il Doppio Concerto, furono respinte al loro
apparire, in parte persino dai suoi amici.
L’autore di una biografia di Brahms scrive
apertamente, a proposito del fiasco del Doppio
Concerto, alla cui prima esecuzione si trovò ad
assistere: “Dove avevamo mai allora le orecchie!”.
L’opposizione di Brahms al suo tempo si espresse,
soprattutto, nel fatto che egli, conformemente
alla sua natura, non divenne con gli anni più
monumentale, come Beethoven, ma, al contrario,
si fece sempre più asciutto, più calmo, più
contenuto e concentrato. Ma i tempi, a loro
volta, permeati delle strutture gigantesche del
dramma musicale wagneriano, spingevano verso le
forme elefantiache e verso la dilatazione del
linguaggio musicale di Strauss, Mahler, Reger e
via dicendo. Anche quest’epoca è nel frattempo
trascorsa: ma la quieta lotta della musica di
Brahms con lo spirito dei tempi non è ancor oggi
finita. E v’è una ragione fondamentale.
Brahms ebbe occasionalmente a dire che la storia
della musica gli aveva assegnato un posto
analogo a quello di Cherubini. Questo giudizio,
scettico e a doppio fondo, come la maggior parte
dei giudizi brahmsiani, è stato naturalmente
frainteso. Non di sé voleva parlare (non
l’avrebbe mai fatto, egli, timido e chiuso, di
sé vivente) ma voleva indicare la “storia della
musica” come categoria; quello che s’insegnava e
studiava ai suoi tempi, e in buona parte
s’insegna e si studia ancora oggi, come storia
della musica: una disciplina dove il solo vero
contenuto del divenire musicale che sia preso in
considerazione è lo sviluppo materiale di ritmo,
armonia, dei diversi orientamenti, tendenze e
influssi. Mentre gli uomini, sui quali tutto ciò
poggia, vi compaiono più come rappresentanti di
questi orientamenti, che come personalità in se
stesse.
In una simile storia della musica, Brahms non ha
torto ad assegnarsi un posto analogo a quello di
Cherubini. La musica dei suoi tardi anni non
adempiva più una funzione nel senso del “progresso”.
Di fronte alla dissolvente armonia del Tristano
e, più tardi, ai primi inizi del politonalismo,
egli, che sempre aveva dinanzi agli occhi la
forma globale nella sua pura musicalità, si
richiude nel rifiuto. L’armonia di Brahms negli
anni Novanta è appena diversa da quella di
Schubert degli anni Venti dello stesso secolo. E
tuttavia, il paragone con Cherubini è falso. E
così arriviamo a quel che rende il caso di
Brahms tanto significativo pe noi oggi, a quello
che gli conferisce addirittura la più immediata
attualità.
Brahms è il primo grande musicista nel quale la
funzione storica e la statura artistica non
coincidono più. La colpa di questo non è sua, ma
del suo tempo. Persino le concezioni formali più
abnormi di Beethoven erano scaturite dai tempi
di Beethoven, avvalendosi del linguaggio e delle
possibilità espressive di quei tempi. La volontà
di Beethoven, per quanto non soggetta al tempo e
gravida di conseguenze per il futuro, era in
qualche modo conforme alla volontà dei tempi;
Beethoven era “sostenuto” dal suo tempo. Persino
le più ardite e coerenti opere di Wagner non
affermavano soltanto la possente umanità del
loro creatore, ma realizzavano anche virtualità
e volontà del suo tempo. Per quanto potesse
sentirsi in contrasto, egli ne era pur tuttavia
espressione. Con Beethoven e Wagner, ed anche,
più tardi, con Strauss, Reger, Debussy e
Stravinskij, volontà personale e volontà del
tempo coincidono. Con Brahms, e con lui per la
prima volta, queste volontà divergono. E non
perché Brahms non fosse, e profondissimamente,
uomo del suo tempo, ma perché le reali
possibilità musicali del suo tempo avevano preso
vie diverse, non erano sufficienti al suo volere.
Egli è il primo ad essere, come artista e
creatore, più grande della sua funzione
storico-musicale.
Fu per questo che dové difendersi per rimanere
quello che era, cosa che ai suoi predecessori, sostenuti come furono, fino a Wagner, dal favore
dei tempi, non era costata fatica alcuna. Egli
fu quindi il primo a doversi porre contro il suo
tempo, fin nel profondo, soltanto per poter fare
coerentemente ciò che alle precedenti
generazioni riusciva ovvio: porre l’uomo al
centro di arte e di ogni pratica artistica:
l’uomo, sempre rinnovato, e sempre lo stesso.
Non è lo svilupparsi della materia, dell’armonia,
della ritmica o di quel che volete, che dà
significato alla storia, quanto invece la
volontà espressiva di coloro che si servono di
questa materia. Misura dell’importanza di
un’opera d’arte non è il grado di “audacia”, di
novità di ciò che è stato detto, dal punto di
vista della evoluzione storica, bensì il grado
dell’intrinseca necessità, dell’umanità, della
potenza espressiva.
Brahms, dunque, fu il primo a vivere fino in
fondo la crisi del suo tempo, non limitandosi ad
arenarvisi come un oggetto, ma ad essi
opponendosi. Parlare qui di reazione, è
sbagliato; egli era un uomo moderno, e lo rimase
finché visse soprattutto per la ragione che non
rinunciò a concepire come unità l’uomo nella sua
interezza, come oggi si vede.
Così, la sua arte è rimasta sobria e umana.
Riuscì a tanto in modo del tutto semplice e
naturale, rimanendo però completamente se stesso.
La sua arte, quella dell’ultimo musicista
tedesco accanto a Wagner, ottenne fama mondiale,
sebbene fosse interamente tedesca e per di più
aliena da compromessi, o forse proprio per
questo. Brahms è divenuto oggi, in numerosi
paesi, uno dei musicisti più eseguiti. Come la
sua persona, egli seppe mantenere anche la sua
arte libera e intatta, di fronte alla crisi che
da circa cinquant’anni attanaglia la vita
spirituale europea e che, sul terreno musicale,
si esprime soprattutto nel profondo distacco fra
pubblico e musicista che crea. Una crisi che è
necessario superare, se deve continuare a
esistere una vera vita musicale.
(1934)
Wilhelm Furtwängler
(Suono e parola, Fògola, Torino)
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