"Il mio linguaggio è fatto di note"

La sesta Edizione dell'Ascona Music Festival 2015 è dedicata al cuore del repertorio cameristico da Brahms affidato al violino, al violoncello, al clarinetto ed al pianoforte.

Tre appuntamenti a carico del violinista Robert Zimansky, Stephan Rieckhoff al violoncello, Dmitry Rasul-Kareyev al clarinetto e del pianista Daniel Levy, con Sonate, Trii ed opere per pianoforte, costituiscono un programma scelto per la sua bellezza e profondità. A questi concerti si aggiunge un incontro sull'ispirazione presso la Sala Eranos della Fondazione Monte Verità con documenti unici del grande compositore amburghese. (Per leggere il programma completo clicca qui)

Un programma scelto che svela il filo conduttore dell'Ispirazione elevata, capace di commuovere e di trasformare a chi ascolta. Le parole di Brahms sono precise e chiare sul misterioso tema dell'ispirazione. È lui stesso che dichiara che "il contatto con essa non può essere effettuato meramente attraverso il potere della volontà, ma deve verificarsi tramite i poteri interiori dell'Anima, l'Io reale che sopravvive alla morte fisica. E questi sono nascosti alla mente cosciente, o svelati a condizione che essa sia illuminata dallo Spirito". E ribadisce ancora: "in questo stato esaltato puoi vedere chiaramente quello che è oscuro nel sentire ordinario; allora ti senti capace di captare ispirazione dall'alto".

Theodor Adorno sostiene che il primo passo per eseguire correttamente la musica da camera è di imparare a non mettersi in luce, a tirarsi indietro e come conseguenza si delinea l'ammutolimento, il passaggio della musica nella lettura silenziosa, che è il punto di fuga di ogni spiritualizzazione della musica.

L'invito ad ascoltare la grande forza dell'ispirazione creativa va alla pari con il ringraziamento alla Johannes Brahms Gesellschaft di Amburgo che ha concesso il suo patrocinio al nostro Festival.

 

  

 

Constatiamo sovente che i grandi artisti, giunti a metà dell’esistenza, cominciano a mutare lentamente posizione nei confronti del mondo esterno e della loro arte. Se, in gioventù, l’accordo tra le esigenze del mondo circostante e quello sull’Io è completo, se, in questo periodo, la loro arte è “conforme ai tempi” in quanto espressione della loro personalità, le cose cambiano negli anni successivi. Insieme con l’affermazione e il successo sul mondo, s’insinua l’intimo distacco da esso, e quindi la presa di coscienza delle più vere e profonde necessità della propria natura. La via resta così libera per quanto di più personale e universalmente valido questi uomini abbiano da dire. È un fenomeno che possiamo verificare con Goethe o Rembrandt, con Bach e Beethoven. Da tutto ciò, discendono un crescente distacco dall’ambiente, un diventar solitari, un levarsi sul proprio tempo.

Anche Brahms ha, a suo modo, attraversato un simile sviluppo. Se nei primi decenni del suo operare, nei quali pose le fondamenta della sua gloria, fu in tutto e per tutto “musicista del presente”, che parlava con il linguaggio del suo tempo, più tardi si svincolò sempre di più dal suo immediato presente. Proprio le più mature opere della vecchiaia, come la Quarta Sinfonia o il Doppio Concerto, furono respinte al loro apparire, in parte persino dai suoi amici. L’autore di una biografia di Brahms scrive apertamente, a proposito del fiasco del Doppio Concerto, alla cui prima esecuzione si trovò ad assistere: “Dove avevamo mai allora le orecchie!”.

L’opposizione di Brahms al suo tempo si espresse, soprattutto, nel fatto che egli, conformemente alla sua natura, non divenne con gli anni più monumentale, come Beethoven, ma, al contrario, si fece sempre più asciutto, più calmo, più contenuto e concentrato. Ma i tempi, a loro volta, permeati delle strutture gigantesche del dramma musicale wagneriano, spingevano verso le forme elefantiache e verso la dilatazione del linguaggio musicale di Strauss, Mahler, Reger e via dicendo. Anche quest’epoca è nel frattempo trascorsa: ma la quieta lotta della musica di Brahms con lo spirito dei tempi non è ancor oggi finita. E v’è una ragione fondamentale.

Brahms ebbe occasionalmente a dire che la storia della musica gli aveva assegnato un posto analogo a quello di Cherubini. Questo giudizio, scettico e a doppio fondo, come la maggior parte dei giudizi brahmsiani, è stato naturalmente frainteso. Non di sé voleva parlare (non l’avrebbe mai fatto, egli, timido e chiuso, di sé vivente) ma voleva indicare la “storia della musica” come categoria; quello che s’insegnava e studiava ai suoi tempi, e in buona parte s’insegna e si studia ancora oggi, come storia della musica: una disciplina dove il solo vero contenuto del divenire musicale che sia preso in considerazione è lo sviluppo materiale di ritmo, armonia, dei diversi orientamenti, tendenze e influssi. Mentre gli uomini, sui quali tutto ciò poggia, vi compaiono più come rappresentanti di questi orientamenti, che come personalità in se stesse.

In una simile storia della musica, Brahms non ha torto ad assegnarsi un posto analogo a quello di Cherubini. La musica dei suoi tardi anni non adempiva più una funzione nel senso del “progresso”. Di fronte alla dissolvente armonia del Tristano e, più tardi, ai primi inizi del politonalismo, egli, che sempre aveva dinanzi agli occhi la forma globale nella sua pura musicalità, si richiude nel rifiuto. L’armonia di Brahms negli anni Novanta è appena diversa da quella di Schubert degli anni Venti dello stesso secolo. E tuttavia, il paragone con Cherubini è falso. E così arriviamo a quel che rende il caso di Brahms tanto significativo pe noi oggi, a quello che gli conferisce addirittura la più immediata attualità.

Brahms è il primo grande musicista nel quale la funzione storica e la statura artistica non coincidono più. La colpa di questo non è sua, ma del suo tempo. Persino le concezioni formali più abnormi di Beethoven erano scaturite dai tempi di Beethoven, avvalendosi del linguaggio e delle possibilità espressive di quei tempi. La volontà di Beethoven, per quanto non soggetta al tempo e gravida di conseguenze per il futuro, era in qualche modo conforme alla volontà dei tempi; Beethoven era “sostenuto” dal suo tempo. Persino le più ardite e coerenti opere di Wagner non affermavano soltanto la possente umanità del loro creatore, ma realizzavano anche virtualità e volontà del suo tempo. Per quanto potesse sentirsi in contrasto, egli ne era pur tuttavia espressione. Con Beethoven e Wagner, ed anche, più tardi, con Strauss, Reger, Debussy e Stravinskij, volontà personale e volontà del tempo coincidono. Con Brahms, e con lui per la prima volta, queste volontà divergono. E non perché Brahms non fosse, e profondissimamente, uomo del suo tempo, ma perché le reali possibilità musicali del suo tempo avevano preso vie diverse, non erano sufficienti al suo volere. Egli è il primo ad essere, come artista e creatore, più grande della sua funzione storico-musicale.

Fu per questo che dové difendersi per rimanere quello che era, cosa che ai suoi predecessori, sostenuti come furono, fino a Wagner, dal favore dei tempi, non era costata fatica alcuna. Egli fu quindi il primo a doversi porre contro il suo tempo, fin nel profondo, soltanto per poter fare coerentemente ciò che alle precedenti generazioni riusciva ovvio: porre l’uomo al centro di arte e di ogni pratica artistica: l’uomo, sempre rinnovato, e sempre lo stesso. Non è lo svilupparsi della materia, dell’armonia, della ritmica o di quel che volete, che dà significato alla storia, quanto invece la volontà espressiva di coloro che si servono di questa materia. Misura dell’importanza di un’opera d’arte non è il grado di “audacia”, di novità di ciò che è stato detto, dal punto di vista della evoluzione storica, bensì il grado dell’intrinseca necessità, dell’umanità, della potenza espressiva.

Brahms, dunque, fu il primo a vivere fino in fondo la crisi del suo tempo, non limitandosi ad arenarvisi come un oggetto, ma ad essi opponendosi. Parlare qui di reazione, è sbagliato; egli era un uomo moderno, e lo rimase finché visse soprattutto per la ragione che non rinunciò a concepire come unità l’uomo nella sua interezza, come oggi si vede.

Così, la sua arte è rimasta sobria e umana. Riuscì a tanto in modo del tutto semplice e naturale, rimanendo però completamente se stesso. La sua arte, quella dell’ultimo musicista tedesco accanto a Wagner, ottenne fama mondiale, sebbene fosse interamente tedesca e per di più aliena da compromessi, o forse proprio per questo. Brahms è divenuto oggi, in numerosi paesi, uno dei musicisti più eseguiti. Come la sua persona, egli seppe mantenere anche la sua arte libera e intatta, di fronte alla crisi che da circa cinquant’anni attanaglia la vita spirituale europea e che, sul terreno musicale, si esprime soprattutto nel profondo distacco fra pubblico e musicista che crea. Una crisi che è necessario superare, se deve continuare a esistere una vera vita musicale.

(1934)

Wilhelm Furtwängler
(Suono e parola, Fògola, Torino)

 

  

 

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